questionario su astensionismo elettorale

Ci interroghiamo sul perché sempre più persone decidono di non andare a votare. Anche durante le ultime elezioni amministrative di Novara, quelle del 2021, che ci hanno permesso di scegliere il sindaco e i consiglieri comunali, ha scelto di non recarsi alle urne il 47% dei cittadini, la metà degli aventi diritto.
Vorremmo provare a capire le motivazioni di chi ha compiuto questa scelta e per questo abbiamo preparato un questionario ANONIMO che ti chiediamo di compilare se non hai votato e risiedi a Novara. Si tratta di poche domande che porteranno via pochissimi minuti.
Puoi farlo cliccando su questo link: https://bit.ly/36hlh4e
Ti ringraziamo per la collaborazione e per il tuo tempo.

Anche da noi si parla tanto di Europa

Erano presenti molti giovani alla scuola di politica “Which Europe?” promossa dal circolo novarese Benvenuti in Italia. Ospiti della serata Alessandro Pirisi, segretario generale dello IUSY (Internazionale Giovanile Socialista), Giulio Saputo (segretario dei Giovani Federalisti Europei) e Diego Montemagno, presidente di Acmos e sostenitore del progetto educativo Meridiano d’Europa. Tra i presenti anche i ragazzi del progetto Promemoria Auschwitz di Sermais, i Giovani Democratici, i Giovani Federalisti  Europei e tanti altri ragazzi e ragazze incuriositi dal titolo della serata: quale Europa?

Si parla tanto di Europa e male. Obiettivo di questa serata è approfondire una argomento che riteniamo fondamentale”, introduce Domenico Rossi, presidente del circolo novarese.

Oggi non possiamo fare a meno di parlare di Europa. “In un contesto economico e sociale in continuo mutamento, l’obiettivo è quello di essere capaci di costruire un soggetto politico continentale. Un soggetto in grado di stare nel mondo. La globalizzazione ha sancito la fine degli stati nazionali. Sempre di più i problemi che ci troviamo ad affrontare hanno cause e chiedono soluzioni che superano i confini nazionali. In questo contesto gli Stati Uniti d’Europa sono l’obiettivo minimo per la nostra generazione”. conclude Rossi.

Dobbiamo ritornare al sogno originario di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Dobbiamo ridare vigore e speranza a quel sogno che questo 2017 – tra difficoltà economiche, finanziarie, disoccupazione giovanile e diseguaglianze, flusso di migranti, forze populiste – sta mettendo a dura prova. Il 25 Marzo si celebreranno i sessant’anni dai trattati di Roma che vedrà riuniti nella capitale, gli attuali stati membri. Noi federalisti europei e tutta la società civile,  ci stiamo mobilitando per chiedere un cambio di rotta. Siete tutti invitati a partecipare”. Risponde Giulio Saputo.

Ma quali principi devono ispirare l’ Europa?

L’Europa che abbiamo in mente è una socialdemocrazia umana. Un continente che si propone come forza internazionalista e socialista. E per questo che noi socialisti europei siamo anche in America Latina, in Africa, nelle Filippine.  Crediamo che solo attraverso la solidarietà internazionale si potrà portare un po’ di luce nell’ombra delle promesse mendaci di nazionalisti ed estremisti religiosi” conclude Pirisi.

Ma l’Europa è anche luogo di contraddizioni insostenibili. Di scelte politiche che hanno effetti drammatici. Un esempio tra i tanti  è la crisi dei rifugiati.

L’Europa è un luogo che amiamo e che vogliamo migliorare. Per questo il Meridiano d’Europa ha scelto Calais e Bruxelles come mete del nostro  viaggio. Luoghi simbolo di quanto l’Unione Europa sia oggi più che mai lontana dal sogno dei suoi padri fondatori. Da un parte Calais città al confine nord della Francia e ormai ultima frontiera d’Europa per tanti migranti, dall’altra Bruxelles, la città in cui dialogare con le istituzioni europeeE’ importante che i ragazzi prendano coscienza di questo ed elaborare insieme una proposta” conclude Montemagno.

Durante gli interventi si legge una lettera dei ragazzi di Promemoria Auschwitz. Una lettera che ha riassunto il senso dell’incontro. “Sono passati settant’anni, e ogni volta che camminiamo ad Auschwitz ci chiediamo come sia stato possibile che l’umanità abbia fatto questo a se stessa.  Perché di questo si tratta: Auschwitz è stato fatto da uomini per altri uomini. E tutto è avvenuto in Europa! Perché questo non si ripeta, crediamo che l’ Europa debba essere salvaguardata. Che questa sia una battaglia senza soluzioni prestabilite, ma che vale la pena essere combattuta. Noi ci stiamo provando con due viaggi: Promemoria Auschwitz e il Meridiano d’Europa. Due facce della stessa medaglia. E’ la nostra risposta educativa alla rassegnazione”.

Giuseppe Passalacqua

Caporalato: la schiavitù nelle nostre campagne

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Ci sono luoghi e realtà economiche in cui la schiavitù esiste ancora. Ne abbiamo parlato lunedì 19 novembre al Circolo dei lettori di Novara presentando il volume “La quinta mafia” di Marco Omizzolo con l’Onorevole Davide Mattiello e il Consigliere regionale Domenico Rossi.
Un racconto vero e scrupoloso su come funziona il sistema dello sfruttamento del lavoro nel comparto agricolo in provincia di Latina: buste paga false, salari infimi, doping per riuscire a lavorare tutto il giorno sette giorni su sette, caporali 2.0 che reclutano i lavoratori attraverso gli sms e Whatsapp, colletti bianchi, avvocati e commercialisti, che favoriscono il prosperare di questa terra di mezzo.

«Chi vive queste situazioni, vive di fatto in un altro mondo. Una realtà in cui il datore di lavoro si fa chiamare padrone e la violazione dei diritti umani è all’ordine del giorno», ha sottolineato Omizzolo tratteggiando i contorni di un sistema che ha tutte le caratteristiche proprie della criminalità organizzata, oltre che protagonisti legati sia alla mafia siciliana che alla camorra.

Una sorta di modello ripetibile su ogni territorio come ha ricordato Domenico Rossi, componete della commissione regionale per la promozione della cultura della legalità e il contrasto dei fenomeni mafiosi, tornando con la memoria all’estate del 2014. «Nelle terre dei grandi vini piemontesi – ha spiegato Rossi salì alla ribalda della cronaca un sistema di sfruttamento del lavoro nel periodo della vendemmia. Manovalanza proveniente dall’Est Europa che viveva in situazioni estreme, lavorando senza sosta per una paga irrisoria. A pochi chilometri da qui una storia di padroni senza scrupoli e caporali pronti a tutto, spesso anche’essi stranieri, impegnati in un’assurda storia di guerra tra ultimi e penultimi».

C’è un problema, dunque, evidente e non può essere derubricato a una questione legata solo ad alcuni territori. Quello che oggi, però, appare chiaramente così non era solo qualche anno fa. «Affrontando questo tema ci siamo dovuti impegnare in un lavoro culturale: attrarre la lettura del fenomeno del caporalato nel perimetro della criminalità organizzata di stampo mafioso» ha spiegato Davide Mattiello, componente della Commissione antimafia. Un percorso fatto di audizioni, approfondimenti e verifiche sul territorio che ha portato alla revisione normativa vigente, estendendo la responsabilità dai soli caporali anche agli imprenditori disonesti; quelli onesti, invece, vengono valorizzati con la Rete del Lavoro agricolo di qualità. «La strada è ancora lunga ma è fondamentale non mollare la presa rivolgendosi anche al consumatore per far crescere ogni giorno la consapevolezza del prodotto che acquistiamo» ha concluso l’Onorevole Mattiello.

 

Sicurezza a scuola: a Novara la testimonianza di Cinzia Caggiano, madre di Vito Scafidi

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«Vito ha permesso il cambiamento: dopo la sua morte e il processo che ne è seguito non si affronta più il tema della sicurezza nelle scuole nella stessa maniera in Italia». Così Cinzia Caggiano, mamma di Vito Scafidi che perse la vita al liceo Darwin di Rivoli il 22 Novembre del 2008, durante l’incontro della Scuola di Politica dedicato alla sicurezza organizzato dal circolo novarese della Fondazione Benvenuti In Italia.

Un confronto ricco e intenso con Francesca Rispoli, presidente di Bit, Cinzia Caggiano e Milù Allegra, consigliere delegato all’edilizia scolastica della Provincia di Novara, e il Consigliere Regionale Domenico Rossi che ha aperto l’incontro ringraziano Cinzia Caggiano «per aver saputo trasformare un dolore privato in un atto di impegno pubblico» e ricordando che «la sicurezza nelle scuole è un’urgenza per cui è importante impegnarsi ogni giorno. Certamente servono fondi per mettere in atto interventi strutturali e di manutenzione ordinaria e straordinaria, ma serve soprattutto alimentare una cultura e una sensibilità diffusa su questo tema cruciale per il futuro dei nostri ragazzi».

Una consapevolezza nuova che si sta diffondendo anche grazie al lavoro di Legambiente, Cittadinanzattiva, Libera e della Fondazione Benvenuti in Italia, che non ha mai abbandonato le famiglie delle vittime, a partire da quella di Vito. Bit, in particolare, ha svolto una importante funzione di advocacy su questo tema raggiungendo risultati importanti, come la campagna sull’8×1000 che ora viene destinato in parte alla manutenzione degli edifici scolastici, e l’apertura del Fondo Vito Scafidi che rappresenta un punto di riferimento per chi vuole affrontare il tema della sicurezza nelle scuole. Proprio Francesca Rispoli di BIT ha tracciato un quadro dell’emergenza: «Il 30% dei 42mila edifici scolastici italiani non è nato per ospitare aule e studenti, proprio come il Darwin di Rivoli, non solo, circa metà è stata edificata prima dell’entrata in vigore delle normative vigenti, risalenti agli anni ’70». Una fotografia preoccupante su cui, dopo anni di «colpevole accettazione da parte di tutti», come ha sottolineato Cinzia Caggiano, si è tornati al lavoro.

«Un emendamento alla legge sulla cosiddetta Buona Scuola ha istituito la Giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole. La celebriamo ogni 22 novembre, proprio nell’anniversario della morte di Vito e non è solo una manifestazione esteriore» precisa Rispoli. «Oggi è in funzione una prima anagrafe dell’edilizia scolastica in Italia, istituita nel 1996 ma rimasta a lungo lettera morta, così come l’Osservatorio nazionale per l’edilizia scolastica del Miur». Ne fanno parte anche Legambiente, Cittadinanzattiva, che da anni realizzano report sulla sicurezza scolastica, e Benvenuti in Italia. «Il Governo ha, inoltre, istituito una cabina di regia fondamentale per connettere le diverse competenze ministeriali, mettere ordine nella normativa e nei fondi disponibili». Obiettivi raggiunti grazie alla mobilitazione dell’associazionismo e della cittadinanza organizzata. «È certamente importante la volontà politica – ha spiegato Domenico Rossima non basta: insegnanti, studenti, famiglie, cittadini devono chiedere con forza per sostenere scelte che vadano proprio in tale direzione: serve uno sforzo comune per mantenere la sicurezza nelle scuole una priorità per il Paese». Un processo che necessariamente, in un periodo di forti ristrettezze nei bilanci, impone delle scelte alle amministrazioni locali.

«È una sfida – ha dichiarato Milu Allegrache la Provincia di Novara ha raccolto cercando di ottimizzare ogni percorso e risorsa a disposizione. Da un lato lo stanziamento di 1,5 milioni di euro per la sicurezza, dall’altro riorganizzando il patrimonio seppure tra mille difficoltà». La Provincia ha potenziato il settore dell’edilizia scolastica «nominando un nuovo responsabile, l’ingegnere Alfredo Corazza, che ha avuto un primo preciso mandato: fotografare la situazione e interagire con i dirigenti scolastici per definire priorità di intervento, opportunità e sogni nel cassetto». L’intenzione è quella di investire al meglio le risorse a disposizione sulla base di tale screening: «Il primo passo sarà dotare tutte le scuole di una certificazione antincendio – ha spiegato Corazzaal momento solo due istituti superiori su venti in tutta la provincia ne sono dotati».

All’incontro erano presenti tanti insegnanti e rappresentanti del mondo della scuola. A loro si è rivolta in chiusura Cinzia Caggiano, ricordando che «la scuola è un bene comune; serve un’alleanza dei i soggetti che la vivono in nome della sicurezza di tutti». Dirigenti, responsabili per la sicurezza e insegnanti hanno un ruolo gravoso ma fondamentale, perché la sicurezza è un fatto serio e «dopo i crolli non si può tornare indietro». Ha ricordato, infine, che «i ragazzi sono le prime sentinelle: bisogna ascoltarli senza pregiudizi e sensibilizzarli sul tema».
Proprio per questo motivo tutti i relatori si sono detti disponibili a riportare questo ragionamento nelle scuole, davanti a studenti e insegnanti, i primi soggetti che possono e devono impegnarsi per evitare che altri studenti vengano feriti o perdano la vita nel luogo che dovrebbe essere il più sicuro.

Riforma costituzionale: SÌ e NO a confronto

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Erano presenti tanti cittadini alla Scuola di Politica, promossa dal circolo novarese della fondazione Benvenuti in Italia, che si è tenuta il 14 luglio al Broletto. Segno che la riforma costituzionale è un argomento che interessa e che sarà preceduta da un intenso dibattito cittadino.

Gli ospiti della serata, Anna Mastromarino e Francesco Pallante, docenti in giurisprudenza dell’Università di Torino, hanno presentato le principali ragioni del SÌ e del NO, chiarendo alcuni punti della riforma anche molto tecnici o complessi. I cittadini hanno così potuto mettere a confronto le due tesi sui contenuti effettivi della legge sottoposta a referendum, grazie a un dibattito svoltosi esclusivamente sul merito. Una scelta non sempre adottata nei discorsi politici e sui media e perciò maggiormente apprezzata dai partecipanti.

Non potendo ripercorrere qui tutti i temi affrontati in una serata così ricca di contenuti, carichiamo le slide usate per condurre la serata, che toccano in maniera sintetica e semplificata i punti più importanti della riforma.

A fine serata abbiamo anche chiesto un commento ai due relatori:

L’appuntamento con la Scuola di Politica torna a settembre, con una serata dedicata nuovamente alla riforma costituzionale.

Progettare il futuro al tempo dell’ISIS

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Pubblichiamo il contributo, riguardante la Scuola di Politica “Crescere al tempo dell’ISIS” del 23 febbraio 2016, di Maria Paola Colombo, autrice de “Il negativo dell’amore” (2014, Mondadori) e de “Il bambino magico” (2016, Mondadori). La ringraziamo per questo bell’articolo e per averci dato la possibilità di pubblicarlo.

Avevo sei anni ed era domenica. Una domenica qualunque, vicino al mare. Giocavo con una bambina capace di fare la ruota molto meglio di me, per la precisione: tre perfette ruote di fila. Quel tipo di abilità che a sei anni genera infinita stima. Mia madre venne a chiamarmi: era l’ora della Messa.

Anche tu vieni a Messa? – chiesi alla Reginetta delle Ruote.

No –

Perché ci sei già andata? –

No –

Perché ci vai pomeriggio? –

No. Io non ci vado mai a Messa. Noi siamo atei – disse, sorridendo quieta, come dopo uno dei suoi esercizi perfetti, tanto da sembrare facili.

Io rimasi pietrificata: non avevo mai considerato, fino ad allora, la possibilità che esistessero bambini che non vanno a Messa.

L’arrivo degli atei nella mia vita, fu una rivoluzione copernicana.

Accadeva trent’anni fa. Berlino era ancora divisa in due da un muro, Gorbaciov non aveva ancora stretto la mano a Reagan (e neppure aveva baciato sulla bocca Honecker), non c’erano ancora state la Guerra in Slovenia, la Guerra del Golfo e quella del Kosovo. Il Medio Oriente era un luogo caldo, ma non ancora una polveriera, Nelson Mandela era ancora in prigione e Lehman Brothers prosperava. Le torri gemelle svettavano con i loro 110 piani nel cielo di Manhattan, simbolo di un’ascesa inarrestabile, sfida alla gravità terrestre. E poi i telefoni erano immobili: posati sul mobiletto vicino all’ingresso o nelle cabine della Sip. Non esistevano altri operatori telefonici che ti chiamassero mentre scoli la pasta per proporti incredibili offerte, nuovo abbonato! C’era solo la SIP. Non esisteva internet e tutti, in macchina, avevamo cartine geografiche del Nord e Sud Italia. La famiglia Robinson ci educava dall’America a pensare che le persone di colore, ancora poche, fossero tendenzialmente simpatiche. Li chiamavamo “Vu Cumprà”, un neologismo napoletano, che, per quanto contenesse molta semplificazione e un po’ di sarcasmo, focalizzava però l’attenzione sul tipo di attività che molti di loro svolgevano piuttosto che sull’origine o la non appartenenza (extra-comunitario).

Avevo sei anni e, mentre nel mio piccolo mondo approdavano gli atei, immediatamente seguiti da E.T., nel mondo degli adulti prendevano dunque forma eventi e processi sostanziali destinati a cambiare non solo gli assetti politici, ma anche, e soprattutto, la vita di tutti i giorni.

Oggi, in un’epoca di alto traffico di merci, informazioni, persone e cultura, l’alterità è un’esperienza densa e quotidiana. Se trent’anni fa si poteva arrivare anche a sei, otto, dieci anni nella convinzione (arrogante e tenera) che il mondo fosse fatto a nostra immagine e somiglianza e gli africani abitassero perlopiù in Africa, e i cinesi in Cina, oggi un bambino di prima elementare, ma anche già all’asilo, ha compagni che provengono dal Marocco, dall’India, dalla Cina, dall’Algeria, dal Senegal e dal Pakistan. E sono cristiani alcuni, ma anche: protestanti, mussulmani, induisti, buddhisti e atei.

L’incontro di giovedì 24 febbraio alla Barriera Albertina è partito da qui: dai bambini e dalla scuola. Perché è nell’educazione alla relazione con l’Altro che il mondo si gioca le sfide del futuro, e anche quelle del presente. Paolo Pascucci è uno storico delle religioni, vicepresidente dell’associazione UVA – Universolaltro. Universolaltro promuove, nelle scuole elementari e medie, la conoscenza e la familiarizzazione con le religioni più diffuse al mondo, con i loro usi e costumi, le festività, il ruolo dell’uomo e della donna. “Se da un lato il ministero finanzia alcuni dei nostri progetti”, dice Paolo, “Dall’altro non si arriva ad un riconoscimento formale che porti, ad esempio, all’integrazione nei programmi scolastici”. Eh sì, perché le attività didattiche di UVA vengono svolte all’interno di ore, sottratte ad altre materie. Eh sì, perché i programmi ministeriali dei bambini del 2016 sono, per materie di studio e contenuti, grossomodo gli stessi di quando le elementari le facevo io appunto, trent’anni fa, quando ancora l’ateismo era una stranezza e E.T. faceva anche un po’ paura.

E dunque, il primo punto cruciale è: abbiamo bisogno di nuovi strumenti culturali per affrontare un contesto mutato e perché questo contesto non diventi un problema, ma una risorsa. Solo in un sistema educativo gretto e non attrezzato la presenza in una classe di bambini da tutto il mondo diventa un rischio piuttosto che un’opportunità.

E, sicuramente, di questi strumenti non hanno bisogno soltanto i bambini. Meno conosciamo e capiamo quello che sta accadendo (ovunque e comunque ci riguarda, nell’economia e nella politica globalizzata), più ci sentiamo impotenti e minacciati dagli eventi, più abbiamo paura, più ci orientiamo verso la semplificazione e lo stereotipo, più ci aggrappiamo a ciò che siamo in opposizione a ciò che non siamo. Perché in qualche modo si deve pur sopravvivere nel caos e perché è più facile individuare una sola causa a tutti i problemi e riversare su questo bersaglio tutta la rabbia.

E’ già successo molte volte nella storia, succederà ancora. A posteriori è sempre stato possibile, con il senno di poi di cui sono piene le fosse (comuni), fare analisi retrospettive. Ma è quando hai paura e l’altro diventa una minaccia che ti dovresti fermare. Hai paura perché ci sono guerre ovunque, attentati improvvisi, buchi nell’ozono e scioglimento della calotta artica, un malato oncologico per famiglia, hai paura perché hai un lavoro sottopagato o non ce l’hai proprio, o ce l’hai tu ma forse non ce l’avranno i tuoi figli, allora, in quel preciso momento, sei disposto a barattare la libertà (di pensiero innanzitutto) con un po’ di ordine e sicurezza.

Dunque, certo: l’”Islam è una religione violenta”, “i mussulmani sono tutti votati alla jihad che è la guerra santa di distruzione (fisica) degli infedeli”, “noi li ospitiamo e gli diamo pure la cittadinanza e, magari un lavoro che, peraltro prima dovremmo pensare a darlo ai nostri, e loro ci ricompensano con monete al tritolo”. “Ci vogliono invadere e uccidere tutti”.

E’ vero. Verissimo. Se non conosci l’Islam al di là della semplificazione propagandistica, non può che essere così. Eppure, se ti fermi, lo capisci che non può essere questa la radice di tutti i problemi. E, poi, tu con quanti mussulmani hai parlato? Hai mai letto il corano?

Paolo Pascucci ci guida in un viaggio affascinante dentro la complessità di una delle tre grandi religioni monoteiste, e smonta uno dopo l’altro gli stereotipi: dire che l’Islam è Daesh (Isis), è esattamente come sostenere che tutti gli italiani sono mafiosi, o che tutte le bionde sono stupide.

E poi: chi sono questi ragazzi che si sono fatti saltare per aria a Parigi? Giovani con la cittadinanza francese, immigrati di seconda generazione, senza neppure l’accento, venuti fuori dalle banlieue con in corpo più rabbia che tritolo. Ma per capire questa rabbia occorre, nuovamente, andare oltre tanti giudizi che abbiamo sentito esprimere all’indomani degli attentati e, tra tutti, di nuovo: “gli abbiamo dato persino la cittadinanza”.

Per capire basta ascoltare: Yassine è il presidente di Mobadara, associazione di ragazzi marocchini di religione mussulmana. Parla con una voce dolce e inclinata all’ironia. Racconta di come lui sia nato in Italia e, ogni volta che torna in Marocco per le vacanze estive, i parenti lo guardino come uno forestiero in vacanza: “L’Italiano”. “Ma in Italia io”, dice Yassine, “ Sono solo il marocchino”. Ridiamo tutti, di questa fantozziana situazione. Ridiamo anche se non c’è niente da ridere: Straniero nel paese delle radici, Straniero nel paese dove abita, Yassine, come molti figli di immigrati, vive l’ “estraneità” come unica patria. Lui e i suoi amici dell’associazione si occupano di integrazione: aiutano i figli dei propri connazionali ad imparare l’arabo, perché possano dialogare con la storia da cui provengono, e insegnano alle madri e ai padri a parlare l’italiano, perché “Una mamma che non può leggere i quaderni e il diario dei figli e non è in grado di parlare con la sua maestra, come fa?”.

Mobadara collabora con la Comunità di Sant’Egidio e sta cercando la strada del dialogo associativo per organizzare eventi interreligiosi. Ma immaginiamo che, al posto di Yassine e della sua meravigliosa ostinazione a superare le difficoltà e costruire relazioni, immaginiamo che al suo posto ci sia un ragazzo delle banlieue, uno cresciuto ai margini, uno a cui è stata data una cittadinanza legale, ma non una cittadinanza reale. Immaginiamo che il degrado quotidiano, gli sguardi di diffidenza e sospetto, la distanza lo respingano ogni giorno di più, fisicamente e metaforicamente, nei vicoli del ghetto. La legge del suo vissuto è diversa da quella del Legislatore: il Legislatore dice “sei un cittadino”, ma la comunità sancisce l’esclusione dalla Città. Allora questo giovane, sradicato e impossibilitato a mettere radici in una nuova esperienza identitaria, vive la stessa snervante condizione di chi sia condannato ad abitare l’attesa, per sempre, davanti ad una porta chiusa. E davvero possiamo stupirci se ad un certo punto comincia a sfondarla a calci, a inveire e odiare e disprezzare quelli che abitano la casa oltre la porta?

E’ anche interessante osservare come la propaganda di Daesh parli a questi ragazzi con la lingua di Hollywood: un eroismo americano rovesciato e molto pulp, dove i cattivi di American Snyper diventano i buoni, i giusti. Perché, in verità, questi ragazzi, della propria cultura di appartenenza, non sanno granché. Sono cresciuti a film, più che a Corano. Il loro islamismo è una “finzione”, una ri-costruzione fantastica di un’autenticità culturale che non hanno vissuto: un sogno violento di liberazione e riaffermazione.

Qualcuno dalla platea domanda a Paolo Pascucci che ne pensi del modo in cui l’Europa sta facendo fronte all’ondata di migranti, se le azioni poste in essere siano solo emergenziali o strutturali. E’ una domanda retorica: la risposta la conosciamo tutti. E ci riporta al cuore del problema: in realtà, sono quasi vent’anni che tutte le associazioni non governative lanciano grida di allarme, sollecitando il dibattito politico, e sono quasi vent’anni che i governi si arrabattano con soluzioni tampone. In altri termini, tutti gli osservatori sono a conoscenza, da quasi due decenni, che sarebbe accaduto quello che sta avvenendo. Era prevedibile e previsto. E’ evidente che in tutto questo tempo l’Europa avrebbe potuto porre in essere misure strutturali, azioni, innanzitutto, educative. Oggi avremmo già una prima generazione di giovani adulti, figli di Europei e figli di migranti, attrezzati per una convivenza nuova e proficua.

Invece siamo ancora qui a decidere se farli entrare o no. Pro e contro l’accoglienza. Concentrati su un dibattito che neppure ha più senso: più alto sarà il muro che erigeremo, più feroce sarà lo sfondamento della diga, più terrificante l’impatto delle forze oppositive che gonfiano ai due lati del muro.

Sprecare energie su un falso problema, è un modo sciocco di prendere tempo e guadagnare voti. Il tema, ormai, e lo è sempre stato, non è “se”, ma “come”. E una cosa possiamo mettere in conto con sicurezza: sarà difficile. La Germania che fa un gesto di generosità nell’accoglienza di profughi Siriani e impazzisce dinnanzi ai fatti di Colonia pecca di ingenuità. A parte il fatto che il numero di arrestati provenienti dai rifugiati si è rivelato marginale, è evidente che in assenza di processi culturali pregressi e profondi accadranno ancora fatti come quelli di Colonia e Parigi. Occorre tempo perché acquisiscano stabilità nuove forme di pensiero, di convivenza, di relazione. Di inclusione.

Ma dobbiamo cominciare. Ed è quello che abbiamo fatto la sera del 24 febbraio: associazioni italiane e islamiche, ragazzi italiani e mussulmani. Sarà faticoso, difficile e non immediato. La costruzione di qualunque cosa, implica un tempo in cui gli occhi non si appagano di nessun risultato, anzi: si scava, si scende, si allarga un buco. Quello delle fondamenta. Ma la fatica dei costruttori è sostenuta dalla visione nitida della costruzione compiuta, nutrita dalla bellezza che sarà.

E questo è quello che vogliamo essere: costruttori della nuova Città. Costruttori di ponti, non di muri.

No alla manifestazione di Forza Nuova a Novara

Siamo appena tornati da Budapest, dove con altre ragazze e ragazzi europei, attraverso il progetto “Meridiano d’Europa” abbiamo condiviso, ancora una volta, l’Europa che sogniamo: priva di muri, di barriere, capace di accoglienza e di solidarietà.
L’alternativa è il sonno della ragione, come abbiamo avuto modo di ricordare pochi giorni fa, in un Teatro Coccia gremito di persone, con i ragazzi del progetto “Promemori-A Auschwitz” e gli artisti dello spettacolo “La Scelta” che ci hanno mostrato nuovamente gli orrori e la disumanizzazione a cui portano l’odio, la discriminazione e ogni forma di fascismo e totalitarismo.
Portiamo con noi la memoria di Auschwitz, di Sarajevo e della Liberazione europea dal nazi-fascismo. Su questa memoria costruiamo il nostro impegno quotidiano, con essa alimentiamo i sogni della società che vorremmo, profondamente antifascista ed antimafiosa.
Per tutto questo guardiamo con preoccupazione all’annunciata manifestazione di Forza Nuova a Novara nel quartiere di sant’Agabio: una provocazione elettorale che vuole fare leva su razzismo e discriminazione. Novara, medaglia d’oro della Resistenza e Sant’Agabio, quartiere da sempre in prima linea per accoglienza e integrazione non lo meritano.
Noi diciamo a tutti i migranti, a tutti coloro che sono in difficoltà: “Benvenuti a Novara! Non ci sono stranieri e italiani. Cittadini di serie A e cittadini di serie B. Esistono persone che insieme devono rispondere sfida della convivenza comune, pacifica e solidale”

Auspichiamo anche noi che la manifestazione venga vietata.

Le nuove difficili sfide del welfare

welfare sdp

Il mondo sta cambiando, più velocemente di quanto abbia mai fatto. Basti pensare che la popolazione mondiale, cresciuta lentamente fino a raggiungere il miliardo nel 1800, ha visto un’impennata vertiginosa che ha raggiunto i 7 miliardi nel 2011 e arriverà ai 10 nel 2050. È evidente che lo stato sociale sia nato in Europa (e dell’Europa costituisce il DNA, rappresentando il 58% del welfare mondiale a fronte dell’8% della popolazione) in condizioni completamente diverse a quelle attuali e che non sia più sostenibile. Occorre innovare il sistema, per garantire l’universalità dei servizi e la compatibilità con i nuovi bisogni delle persone. Per evitare che a prevalere sia, citando il sociologo Aldo Bonomi, la comunità del rancore, che di fronte allo sgretolamento dello stato sociale indirizza le proprie pulsioni contro i poveri, gli immigrati e gli esclusi.

Per Marco Riva, ricercatore e innovatore sociale, la risposta si può trovare grazie alla logica della sussidiarietà, mettendo intorno a un tavolo erogatori e beneficiari dei servizi per riprogettarli insieme e unendo le forze di pubblico e privato per realizzarli; non si tratta di una mera delega del pubblico al privato, ma dell’unione delle forze di due mondi che da soli hanno poche possibilità.

Un concetto ripreso da Giuseppe Genoni, Presidente dell’ATC del Nord Piemonte (NO, VCO, VC, BI), che vede nel dialogo uno degli strumenti utili a contrastare il problema della morosità colpevole. Delle circa 2300 abitazioni novaresi di proprietà dell’Agenzia della Casa, 1000 assegnatari sono morosi colpevoli, almeno secondo la legge regionale che regola la materia: la norma stabilisce parametri rigidi che non valutano la concreta situazione degli inquilini, che ben potrebbero essere “colpevoli” solo formalmente. D’altra parte il servizio è talvolta svalutato e la correlata spesa è per alcune famiglie di scarsa priorità rispetto a quelle per beni non essenziali. Un incontro tra le parti sarebbe quindi l’ideale per affrontare problemi irrisolvibili tramite carte e provvedimenti.

Di incontro, o meglio di accoglienza ha parlato anche Daniela Sironi, Presidente della Comunità di Sant’Egidio a Novara, che ha raccontato l’esperienza dei corridoi umanitari avviati quest’anno. Un modo di accogliere che, rispondendo alle stragi in mare grazie al coraggioso contributo di associazioni e privati cittadini, unisce sicurezza e solidarietà. e che potrebbe essere replicato in tutta Europa.

Queste e molte altre sono le nuove difficili sfide del welfare, che richiedono innanzitutto conoscenza e competenza. In questo sta il senso della Scuola di Politica, momento sicuramente non esaustivo ma di stimolo per approfondire tematiche complesse come questa.

Scuola di Politica, palestra di convivenza

crescere isis

Che cosa fare dopo Parigi? Come crescere ai tempi dell’Isis? Uno spunto, un pretesto per parlare della città che vogliamo: accogliente e plurale, in un periodo in cui gli estremismi la fanno da padroni. E non soltanto quello islamico di Daesh, ma anche quello dei movimenti nazionalisti e neofascisti che stanno prendendo piede in tutta Europa o quello di Anders Breivik, l’autore degli attentati di Utoya del 22 luglio 2011 che sono costati la vita a settanta giovani socialisti, che si è definito «Salvatore del Cristianesimo», il «più grande difensore della cultura conservatrice in Europa dal 1950». Come non possiamo ritenere Breivik rappresentativo di tutti i cristiani, così non possiamo identificare il terrorismo con il miliardo e 600 milioni di musulmani presenti nel mondo.

Grazie a Paolo Pascucci, storico delle religioni e vicepresidente di Uva-Universolaltro, abbiamo capito che l’Islam non è un monolite, ma è un insieme davvero complesso di dottrine, un po’ come il cristianesimo. Ed è proprio questa complessità a doverci spingere ad abbandonare i preconcetti e a conoscere l’altro, diverso da noi ma non troppo. È questo il senso della partecipazione alla  serata di Mamadou Sylla, imam del Centro culturale islamico di Castelletto Ticino (NO) Al-Rhama, di Yassine Moustaoui, presidente dell’associazione Mobadara e di Mohamed Hamad, presidente dei Giovani musulmani italiani di Novara.

Ovviamente non basta una serata per conoscersi e integrarsi e infatti non era questo lo scopo della serata, la quale deve essere solo l’inizio di un progetto, di una collaborazione che possa davvero spingere Novara nella direzione che vogliamo. Oggi, al tempo dell’Isis, è tanto più difficile quanto fondamentale. È una scommessa che dobbiamo fare e vincere tutti insieme: la sfida non è quella dell’integrazione ma, come abbiamo imparato in un’arricchente Scuola di Politica dello scorso anno, è quella della relazione.

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